sabato 17 dicembre 2016

Tommaso Romano, "Elogio della Distinzione" (Ed. Thule)

di Sandra Guddo

Nel mondo della globalizzazione suscita stupore se non addirittura sospetto affermare con tutta tranquillità che non ci si sente “ cittadino del mondo “ né  tantomeno invaso dallo spirito cosmopolita. Un’affermazione forte che distingue in un modo o nell’altro chi ha avuto l’ardire, andando contro vento, di pronunciare una frase siffatta. 
Ma se a farlo è Tommaso Romano allora tutto ciò ha un senso!
“ L’Elogio della Distinzione “ infatti vuole essere ed è l’elogio rivolto a chi si distingue dalla massa amorfa ed uniforme, di chi si tira fuori dalla greppia, prendendo posizioni nette ed inequivocabili, fuori dai sofismi e dall’ambiguità, di chi pur ricercando la sintesi, rifiuta il sincretismo che attualmente sembra allargarsi a macchia d’olio su tutte le questioni più importanti del mondo: da quelle politiche  a quelle economiche e perfino alle questioni che afferiscono alla sfera più intima e privata del genere umano . 
Ciò inevitabilmente va a toccare temi delicatissimi come l’unione dei generi, una volta rigorosamente distinti ed identificabili, coinvolgendo, in tale miscuglio shakerato, lo stesso concetto di genitorialità che, come ha recentemente affermato Jorge Mario Bergoglio, rappresenta un attentato alla famiglia e alla tradizione e che seguendo queste idee “si rischia un passo indietro “ , fino ad arrivare sull’orlo del baratro!
In tal senso vanno anche i recenti studi di Aurelio Pace e Carlo di Pietro che nel loro volume “ Gender  ascesa e dittatura di una teoria che non esiste “ ( 2016) liquidano con argomentazioni lineari la teoria del gender che non ha trovato riscontri scientificamente dimostrabili, riaffermando il concetto della distinzione dei generi così come sociologicamente sono riconoscibili. Come ha sottolineato, fuori da ogni posizione omofoba, Giuseppe Bagnasco nella sua recensione, “ il progressismo ha condotto all’innaturale livellamento sessuale “ portando l’umanità ormai imbarbarita al disconoscimento dei valori fondanti della società civile.
Anche in tal senso va dunque elogiata la distinzione, “ fermo restando che attraversiamo tempi apocalittici che hanno il prepotente obiettivo del sovvertimento verso una profonda, perniciosa modificazione antropologica”. 
 Tommaso Romano non esita, contro tutte le recenti teorie che parlano di un’uguaglianza falsamente umanitaria, a sostenere che è aristocratico colui che si distingue.
Non a caso Egli, nel Florilégio di Autori che costituisce la seconda parte del suo corposo volume, riporta l’energica affermazione di Nicolas Gomes Davila  “L’uguaglianza è la condizione psicologica preliminare delle carneficine fredde e scientifiche”.
 Concorda con tale affermazione Giovanni Taibi nella recensione all “ Elogio “ in quanto chiarisce che “ l’uguaglianza intesa come obiettivo supremo da raggiungere per un popolo che vuole definirsi civile “ è autodistruttivo per lo stesso popolo.
 Chi si distingue è un aristocratico inteso non nell’ accezione più diffusa che viene attribuita a tale sintagma la cui etimologia è nota a tutti: “ aristòs e cratòs” cioè potere ai migliori che ha portato, durante i secoli, ad una significazione della parola aristocrazia restringendola fondamentalmente alla sola sfera politica; tanto è vero che nell’antica civiltà greca vennero coniate altre parole per delineare tutte le possibili forme di governo della polìs: monarchia, oligarchia e democrazia.
E’ utile non trascurare questi concetti – base ma nell’ “Elogio della distinzione “ il filosofo Tommaso Romano conduce un’analisi ad ampio spettro che allarga il concetto di aristocrazia, finora intesa  come una delle tre classi sociali in cui era diviso il popolo, accanto a borghesia e terzo stato o proletariato, al concetto di distinzione; ciò in quanto sono i migliori che si distinguono per i loro meriti, rivelando nobiltà d’animo, signorilità, gentilezza e sono interpreti di cortesia e cavalleria, di raffinatezza e buongusto contro la dozzinalità, la serialità, la rozzezza e la volgarità. In sintesi, per dirla con il sommo Poeta “ La stirpe non fa le singolari persone nobili, ma le singolari persone fanno nobile la stirpe “. 
 Sono i migliori che si affermano in un campo o nell’altro attraverso il talento che è innato; ma ciò non può bastare: occorrono impegno e determinazione per evitare che il proprio talento non venga sprecato, oscurato, sepolto da una vita ordinaria e senza una giusta ambizione. Già in una bellissima ed esemplificativa parabola del Vangelo, narrata secondo  Matteo ( 25, 14- 30 ) si parla dei  talenti, monete in quel tempo in circolazione. Il messaggio della parabola è inequivocabile: va lodato colui che sa far crescere il proprio talento e non chi, per eccessiva prudenza o forse per pigrizia, lo seppellisce senza ricavarne nel tempo alcun frutto.
Ecco che allora la nobiltà d’animo può appartenere a chiunque anche al più piccolo ed insignificante degli uomini purché si distingua per l’impegno, per la serietà, per la professionalità e, consentitemi di aggiungere, per l’amore con cui svolge il suo ruolo nella visione complessiva del cosmo, “ la cui bellezza, a ben guardare si può rinvenire anche in un filo d’erba “.
Tommaso Romano non ci tiene proprio ad essere genericamente ritenuto “un buonista” o peggio “cittadino del mondo”, non di questo mondo almeno, in cui i poteri forti di potenti lobby economico – finanziarie hanno iniziato uno strisciante appiattimento della distinzioni: addio alle ideologie in antitesi, addio alle peculiarità di un popolo in nome di mode che appiattiscono i nostri gusti anche a tavola e ci vengono propinati cibi seriali  a favore di un’economia senza scrupoli che, nel tempo ha saputo indebolire i popoli  trasformando le nostre democrazie in palcoscenici della menzogna ; sono state precarizzate le nuove generazioni rendendo i nostri giovani una categoria indifesa di fronte al problema del lavoro; è stata impoverita la media e piccola borghesia per non parlare dell’aristocrazia che è stata confusamente cancellata con un colpo di spugna sostituita da una feroce dittatura sovranazionale che conosce una sola parola: il profitto !
Ma  Tommaso Romano non ci sta ed in coerenza con quanto esposto nel suo “ manuale “ di sopravvivenza, preferisce restarsene in santa pace nella sua casa, dove ogni cosa ha un valore intimo e spirituale in compagnia dei propri cari e di pochi e selezionati amici con i quali sarà possibile incontrarsi anche al Cafè de Maistre a discorrere di filosofia o di storia o semplicemente a gustare un buon caffè o qualche delizia pasticciera, ammirando il mare che si scorge dalla vetrate in stile liberty del cafè. 
Da Lucio Enneo Seneca il nostro Autore ama ribadire che ha imparato l’esortazione ad una vita umile e sobria ma il grande pensatore iberico non poteva ancora sapere che la  sobrietà, un termine oggi molto apprezzato, in fondo non è che una delle quattro virtù cardinali: la temperanza. Così la pensa Antonio Nanni nella sua opera “ La sobrietà come stile di vita” ( 2003 ) allorché afferma che “ La sobrietà è il nuovo nome della temperanza ( … ) chi agisce nella temperanza non è smodato, eccessivo, ingordo, sregolato ma è persona semplice ed essenziale in tutto, perché sa ridurre, recuperare, riciclare, riparare, ricominciare. La sobrietà è in questo senso la virtù del futuro “.
Risulta quindi necessario cominciare a liberarsi da tutto ciò che è di troppo, dalle ridondanze per puntare all’essenziale. Tale leggerezza soltanto apparentemente sembra contrapporsi alla ponderosità dell’opera ( quasi duecento pagine ) , divisa in tre corpi : 
1.      Saggio dell’Autore che è, come Egli stesso la definisce, una “ Apologia della Condizione Singolare “.
2.      Florilegio di Autori, arricchito da immagini che ritraggono gli antichi Cavalieri disposti a tutto, pur di salvare i Luoghi Santi dal dominio degli infedeli, pronti a combattere fino alla morte “ perinde ac cadaver “.
3.      Saggio di Amadeo – Martin Rey y Cabieses, composto appositamente per “ L’Elogio della distinzione”.
Tommaso Romano, nell’Elogio della Distinzione, conduce una speculazione filosofica che diventa un vero manifesto di ecosofia in quanto attribuisce grande valore all’ambiente ed in particolare alla casa in cui si vive che diventa lo specchio della nostra scala valoriale. Un’abitazione, anche modesta purché sia personalizzata da “cose non oggetti “ raccattati dove capita ma scelti ad interpretare  il nostro gusto, le nostre passioni ed inclinazioni,  in sintesi il nostro percorso esistenziale fino a conferire alla nostra casa un’impronta inconfondibile, un’anima.
Rispetto alle opere precedenti nell’ Elogio della Distinzione, la dissertazione filosofica, pur nella complessità del suo pensiero, diventa quasi colloquiale e si notano un alleggerimento del fraseggio ed una lievezza narrativa che rientrano, a mio parere, in quel naturale percorso ascetico ed ascensionale che Tommaso Romano sta compiendo da” quel buon cristiano di fede qual è “  per ritornare al punto di partenza, là dove tutto ha avuto Origine.

Il libro si chiude nel modo migliore, con un cortese Congedo al Cafè de Maistre per ritirarsi, come un anacoreta occulto, nel silenzio di un eremo immaginifico, in attesa e nella speranza del ritorno alla Tradizione, del divino intervento provvidenziale e della Parusia.

giovedì 1 dicembre 2016

Tommaso Romano, "Elogio della Distinzione" (Ed. Thule)

                                                                    di Giovanni Taibi


La distinzione per non perdersi nel mare magnum della volgarità di usi e di
costumi oggi imperante, la distinzione per rivendicare la propria individualità davanti alla massa plaudente che ha come unico merito quello di correre in
soccorso del più forte !

 Come distinguersi, come essere se stessi, come vivere con stile in un tempo di barbarie ?
Sono questo le domande che si pone il saggio di Tommaso Romano “Elogio della distinzione”, ( fondazione Thule cultura) in cui passa in rassegna l'esegesi e la storia dell'Aristocrazia, della Cavalleria e della Nobiltà.
Se i natali danno in qualche modo un imprimatur necessario, questo solo non è sufficiente per fare di un uomo un gentile.
Dante ce lo insegna:  la vera nobiltà non risiede solo nella stirpe e nel sangue ma soprattutto nel cosiddetto cor  gentile ovvero nell’animo capace di provare nobili sentimenti e comportarsi di conseguenza.
 A partire da questo assunto Romano, in quello che si può considerare un vero e proprio manuale del viver cortese, diventa guida sapiente per chi intenda
intraprendere con totale disinteresse economico e professionale la strada
verso la distinzione, contro la massificazione e la standardizzazione dell'uomo di oggi.
“La distinzione può essere perseguita da tutti volendolo, ordinando le idee, seguendo studio, esempi e ciò che di nobile ditta dentro”. ( pag 5)
Come d’altronde ci insegna il filosofo Epicuro: “ Non la natura, che è unica per tutti, distingue i nobili dagli ignobili, ma le azioni di ciascuno e la sua forma di vita”. (pag.68).
Nella prima parte del libro troviamo l’Apologia della condizione singolare in cui  Romano si appoggia a uno dei pilastri del suo pensiero: la Tradizione.
Come ama spesso ripetere: “Tanto più forti saranno le sue radici tanto più
l'albero ( l'uomo) crescerà in altezza ( morale)”.
 Dopo avere passato in rassegna il pensiero legato alla Tradizione Romano affronta un tema a lui particolarmente caro : la casa.
Essa da semplice dimora diviene la cartina di tornasole da cui è possibile avere un identikit esatto di chi la abita, del suo ( buon) gusto, del modo in cui passa il tempo libero, del valore che dà agli oggetti che diventano testimonianza delle sue esperienze di vita .
Sapere distinguersi non può che passare dal modo in cui si vive la casa, dal
rapporto che si instaura con essa ma questa non deve necessariamente essere un rifugio solitario, un eremo senza terra ma "può aprirsi, accogliere pochi e scelti interlocutori per goethiane affinità elettive..... I libri, le suppellettili, gli oggetti, la musica, le buone persone, un animale fedele, la memoria ci faranno ala non certo
ingombrante" ( pag 22).
Si può dunque affermare con Romano che la casa è la proiezione della propria identità.
Dopo questa prima parte di carattere didascalico il volume presenta un florilegio di autori diversi, per stile,  pensiero ed epoca storica, che nei loro scritti e nel loro pensiero hanno codificato regole e grammatica della Nobiltà, spiegato il motivo  della nascita della Cavalleria  e dell’Aristocrazia. In quelli più recenti, è presente la biunivoca corrispondenza tra caduta di valori dei nobili ideali e crisi del tempo storico presente.
Tra le tante citazioni mi piace riportarne una di Nicolas Gomes Davila.
Lo scrittore, aforista  e filosofo colombiano così scrive: “Più gli uomini si sentono uguali, più facilmente tollerano di essere trattati come pezzi intercambiabili, sostituibili e superflui. L’uguaglianza è la condizione psicologica preliminare delle carneficine fredde e scientifiche”.
Se ci riflettiamo bene, altro non è che un elogio della diversità alla rovescia cioè mettendone  in evidenza i limiti autodistruttivi dell’uguaglianza intesa come obiettivo supremo da raggiungere per un popolo che vuol definirsi civile. 
 Segue infine un saggio sulla Nobiltà, ( scritto appositamente per Tommaso Romano) sulla Cavalleria e sull’Aristocrazia dell'illustre studioso,  il nobile spagnolo Amadeo-Martin Rey y Cabieses, (Componente dell’Audizione Generale e Consigliere della Real Deputazione del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio nonché Membro Corrispondente del Collegio Araldico di Roma )  storico e critico nell’ambito araldico-cavalleresco della Classe aristocratica e della Tradizione iberica, che mostra  una particolare attenzione alla storia della nobiltà italiana.
Lo scrittore spagnolo espone a chiare lettere quelli che sono i tratti distintivi della nobiltà:  il rispetto della parola data, la bontà, la generosità, il valore e l’umiltà del cuore.
Nel capitolo finale, prima di una ricchissima bibliografia, c’è il Congedo al Café de Maistre, in cui Romano, malinconicamente, constata come ai nostri tempi la cultura, l’arte, la tradizione, la stessa fede siano diventati degli pseudo valori da utilizzare a piacere per il proprio tornaconto.
E allora cosa fare ? La ricetta di Tommaso Romano è semplice eppur non sempre facile da attuare: “ Resistere, pur sapendo di servire una causa perduta…..Profferire parole e concetti solo quando richiesto, declinando con garbo ma fermamente la compagnia di arrivisti, molesti e insulsi; studiare e scrivere per sé e per chi egualmente non si piega…….mostrare la bellezza e la potenza del creato. Tutto ciò con la ferma consapevolezza di  stare in minoranza, in assoluta minoranza, forse testimoni attivi di una ipotetica, eventuale futura memoria”. ( pag. 133-134)
Una voce fuori dal coro, un anticonformista assoluto che nella vita ha sempre seguito i suoi ideali a costo di rimetterci personalmente, pur di non abbassare la testa davanti al potente di turno. Questo è, ed è sempre stato,  Tommaso Romano per chi lo conosce e a cui non fanno stupore le lapidarie frasi del suo “Elogio della Distinzione”.
Per i pochi che non lo conoscono ancora, questa lettura servirà a comprendere  la figura di un intellettuale a volte scomodo ma per questo più interessante da studiare perché, attraverso il capovolgimento della prospettiva, ci fa vedere la realtà con occhi diversi e disincantati.